Quando vengo accusato (spesso) di menefreghismo politico per il semplice fatto che non mi occupo degli alfani vari di cui pullula lo squallido panorama politico italiano, amo difendermi definendomi boulangista. Questo mi permette una facile vittoria dato che l’interlocutore tramortito il più delle volte cambia discorso.
Il 14 luglio del 1887 l’adolescente Proust è ad Auteuil ed assiste al passaggio del generale Georges Boulanger la cui vicenda politica era in quel periodo in piena fase di ascesa. Proust ha 16 anni e trascorre ancora molto del suo tempo agli Champs-Élysées dove si reca quasi ogni giorno. Nella sua lettera del 15 luglio a mademoiselle Antoniette Faure, figlia del futuro presidente della Repubblica Francese Felix Faure, così descrive il generale:
“Il personaggio è molto ordinario, un volgare suonatore di grancassa, ma quel grande entusiasmo così inaspettato, così romantico nella nostra esistenza banale e monotona sveglia tutto ciò che il cuore alberga di primitivo, indomito, bellicoso.”
La storia è arcinota, il generale di Rennes, già ministro della guerra nel 1886, tra il 1887 e il 1889 è a capo di un partito che prende il suo nome e propugna un ritorno alla costituzione del 1848 che prevede l’elezione del presidente a suffragio universale. Nel 1889 è vicinissimo al colpo di stato, vince le elezioni legislative del 27 gennaio ma, al centro di intrighi politici ed accusato di alto tradimento fugge a Bruxelles ove (secondo il Melzi del 1951) si uccide.
Ma è il Melzi del 1922 che incanala verso il fallout confusionale l’intera questione. Il generale diventa solamente Ernesto e non più Giorgio o Georges o Georges Ernest Jean-Marie che dir si voglia, generale che fece tanto chiasso in Francia per le sue agitazioni nel voler per sè la presidenza della Repubblica. Si uccise a Bruxelles sulla tomba della signora Bonnemain, amica sua.
Amica sua, con rispetto per Pietro Germi, posso definirla una geniale zingarata del Melzi?