La goccia bergmaniana che cade l’avrei scoperta soltanto anni dopo, quando il labirintico ricordo dei nomi implose in un pomeriggio di ottobre. Il primo Bergman che le mie meningi prelevano dalla mia scatola nera, è sicuramente Victor, lo scienziato di Spazio 1999. La storia è nota a tutti, il 13 settembre 1999 il nostro satellite ci lasciò per mondi sconosciuti (quella che oggi crediamo di ammirare è soltanto un’immagine olografica).
Dicevo dunque che quel giorno, attorno ad un tavolo della sala riunioni della base lunare Alfa, John Koenig, Helena Russell, Alan Carter, David Kano, Paul Morrow e Victor Bergman discussero un ordine del giorno particolare: come sopravvivere. Di Victor Bergman, grande amico da sempre del comandante Koenig, abbiamo notizie frammentarie. Il professore si trova su base Alfa per condurre esperimenti misteriosi di cui nessuno sa niente. Non appartiene a nessun servizio specifico e questo lo si deduce dal fatto che, la sua calzamaglia è grigia senza nessuna manica colorata. Lo ricordo rappresentare la scienza in maniera bonaria, senza misticismi particolari.
Nella maggior parte degli episodi lo vediamo bighellonare per base Alfa senza compiti apparenti. L’uso del computer è limitato al minimo, egli rappresenta, forse, l’ultimo degli scienziati che sa e che non deve chiedere conferme. Qualche volta risponde a John che si dovranno fare dei calcoli, per districarsi dall’ennesima terribile minaccia, ma raramente lo si vede trafficare vicino ad un calcolatore. Ateo convinto, dice di non sapere niente di Dio, ma crede ad un intelligenza cosmica che con Dio potrebbe coincidere.
Erano splendidi pomeriggi quelli, seduto sul mio divano sdrucito, lo osservavo con rigore quasi benedettino. Era così credibile tanto che una domenica mi feci coraggio e domandai al prete, in confessione, cosa ne pensasse di un eventuale intelligenza cosmica. Ricordo che padre Ralph mi cacciò bestemmiando, con una montagna di Pater e Mater per la mia salvezza, teorizzare la superiorità del comandante Ed Straker su John Koenig.
Poi nell’epoca della ragione quasi mi dimenticai di Victor. Il settimo sigillo, Il posto delle fragole, Scene da un matrimonio, titillarono le mie volgari velleità di intellettuale, ma tutto ciò non fu altro che un misero salto nel vuoto. Volli diventare grande, forse finsi ingegno, ma quei film li amai davvero. Ingmar Bergman divenne Bergman primario e mi dimenticai colpevolmente di Victor e del suo sapere. Nell’armonia del cosmo e dei nomi, Ingmar primario rimase pur tuttavia Stenmark (che però faceva Ingemar) con le sue irraggiungibili 86 vittorie in coppa del mondo. Facile dire che spesso, perso nei miei pensieri, campi di forza gravitazionali mi adescano verso Casablanca, Angoscia e Notorius ed una sofferente e malinconica Ingrid Bergman.