Combray

Un marito per Anna Zaccheo

In Art, Books, Cinema, Cronaca, Cultura, Letteratura, Libri, News, Poesia, Politica on 11 settembre 2021 at 16:55
UN MARITO PER ANNA ZACCHEO è un film del 1953 per la regia di Giuseppe De Santis

La voce fuoricampo di Anna Zaccheo (Silvana Pampanini) ci introduce al film. Anna descrive i suoi sogni e le sue aspirazioni mentre inizia un’altra giornata e si sta vestendo. È una ragazza molto bella il cui unico desiderio è quello di sposarsi ma la sua famiglia è povera.

Quella mattina incontra un marinaio di stanza nel porto di Napoli, Andrea (Massimo Girotti) e assieme a lui trascorre la giornata. I due giovani si innamorano nonostante Andrea la sera stessa debba imbarcarsi e star via quattro mesi. Anna così decide di trovarsi un lavoro in quanto sprovvista di dote. I primi tentativi non sono facili, un antiquario gli confessa che è sì in cerca di una commessa di bella presenza ma non bellissima, la sua merce verrebbe oscurata. Poi il tentativo come mascherina in un cinema ma il proprietario gli mette le mani addosso e lei scappa. Trova così lavoro presso un’agenzia di pubblicità dove incontra il dottor Illuminato (Amedeo Nazzari) un uomo all’apparenza serio ed onesto che la sedurrà.

La vergogna per la purezza perduta induce Anna al suicidio. Si salva, rimasta sola vive di piccoli lavori. È in questa fase del film che avviene la trasformazione di Anna, da ragazza piena di vita e speranze a donna sola e umiliata. Arrivata al punto di non poter più pagare l’affitto, decide di cedere all’insistente corte di don Antonio Percucoco (Umberto Spadaro) da sempre suo spasimante seppur molto più anziano di lei. I due si fidanzano ma, nonostante l’amore disinteressato o meglio interessato solo alla bellezza ed alla giovinezza di Anna, la donna capisce che non sarà mai una buona moglie per don Antonio e lo lascia.

Anna un giorno rincontra Andrea, il cui amore è roso da una insana gelosia, questi non accetta il passato e la bellezza della donna. I due trascorrono la notte insieme, la mattina dopo, in un drammatico addio al porto, Andrea dimostra tutta la sua viltà e lascia la donna. La mattina stessa Anna decide di tornare a casa, la sua famiglia la accoglie con amore senza domandarle nulla. La sua stanza è ancora come lei l’ha lasciata, la finestra è ancora aperta sul golfo di Napoli, la voce di Anna che ha iniziato il film, lo chiude.

Rivedendo questo film dopo qualche anno, l’ho trovato ancor più malinconico e drammatico. Nessun uomo capisce Anna ed apprezza la sua onesta bellezza. Anche la famiglia, che nel finale del film la perdona, non riesce a capire il suo dramma interiore di donna. Per Silvana Pampanini un ottimo film diretto da un regista che bene sapeva tratteggiare caratteri femminili come Giuseppe De Santis.

Amedeo Nazzari questo è il problema: cattivo o non cattivo nel film? Di sicuro il suo è un ruolo marginale ma importante in quanto da uomo probo sposato con due figli approfitta della sua posizione e seduce Anna. Scompare a metà film, in una scala mobile della metropolitana di Napoli, mentre Anna lo osserva. La moglie autoritaria lo rimprovera perchè non in grado di tener a bada i ragazzini, i due si riconoscono, lo sguardo di Anna è pieno di rancore.

I tre uomini che vogliono Anna sono diversi di estrazione sociale e culturale ma nessuno è in grado di condividere con lei nulla se non il suo corpo, l’unica dote che Anna, in quanto povera può portare con se all’altare. Melodramma popolare e neorealismo d’appendice si fondono in un film che non esito a definire riuscito.

The end of Bulbo Kort

In Art, Books, Cinema, Cronaca, Cultura, Letteratura, Libri, News, Poesia, Politica on 28 febbraio 2021 at 09:09

Bulbo Kort venne a torto considerato un pessimo regista. Megalomane senz’altro, senza il dono della sintesi cinematografica nemmeno, ma essenzialmente onesto.

La sua concezione filmica spazio-temporale, era del tutto personale e le sue opere non duravano più di 5 minuti. Fu l’unico regista del ‘900 a portare sullo schermo l’intera opera di Proust: Du Côté de chez Swann, A l’ombre des Jeunes Filles en fleurs, Le Côté de Guermantes, Sodome et Gomorrhe, La Prisonnière, Albertine disparue e Le Temps retrouvé condensandola magistralmente in 4’57’’ di proiezione, che la corrotta critica del tempo stroncò senza pietà, definendola opera pretestuosa e prolissa di un pretestuoso regista in disarmo (pretestuoso/a è un aggettivo molto amato dai critici). Bulbo, che in sua difesa amava citare Theodor W. Adorno ed il suo “sprofondamento nel frammento”, non si curò mai delle critiche. Non rispose mai alle provocazioni, se non quella volta che, alla sagra del cinema di Venezia, apostrofò i critici come immondi topi di gogna, non conoscendo bene la nostra lingua.

Nel successivo “Il consumatore di Dittatori” raccontò l’infanzia felice di Josef Mengele a Günzburg fino alla drammatica scelta, finito il liceo, fra il diventare medico o cartografo medievale. Dimenticato dalla cultura ufficiale e dai media in generale, visse in miseria per non dire di merda gli ultimi anni della sua vita, meditando opere assurde mai portate a termine come l’innovativo “Titoli di coda”, in cui l’opera filmica si concentrava non più sulle immagini e sul plot narrativo, ma essenzialmente su operatori, macchinisti e arredatori del presunto film, come a voler sottolineare la supremazia degli autori sul cinema di genere. La morte lo colse ancor giovane nella stesura dei titoli.

La cerimonia funebre vide l’omaggio sentito e commosso di padre Dirkhemm, suo vecchio amico d’infanzia, il quale celebrò la messa (omelia compresa) in quattro minuti. Raccontò brevemente, non poteva fare altrimenti, come si conobbero quando da ragazzi per sbarcare il lunario traducevano dal greco le istruzioni di montaggio dei Gazebo K di Le Corbusier e giocavano a pallone con la squadretta dell’oratorio partite di 30 secondi che immancabilmente finivano zero a zero. Le loro strade poi si divisero, padre Dirkhemm non vide un cartello e finì dentro ad un fosso di un seminario e si fece prete. Non fu una vera e propria vocazione ma, come amava spesso ripetere nelle sue omelie, le strade del signore sono lastricate di buone intenzioni e di cartelli sbagliati.

Zazà di Renato Castellani

In Art, Books, Cinema, Cronaca, Cultura, Letteratura, Libri, News, Poesia, Politica on 31 gennaio 2021 at 22:05

Fermo alla stazione di Saint-Etienne sul treno per Parigi, Albert Dufresne di professione ingegnere elettrotecnico scende per un cappuccino e perde il treno. Si ritrova così nella provincia francese in cui inizia la sua avventura.

Al bar della stazione incontra un bizzarro individuo; musicista, giornalista, autore di canzoni di nome Bussy che lo invita ad uno spettacolo dove le sue canzoni vengono interpretate da una sciantosa di nome Zazà. Albert è indeciso, Bussy insiste. Ci ritroviamo così all’Alhambra, Albert davanti ad una balaustra in un ambiente caotico e fumoso, Zazà è in ritardo come sempre. All’improvviso un gran trambusto all’ingresso principale, è lei, l’impresario le corre dietro, lei sorride, crea scompiglio tra i tavolini, si disfa di un boa di struzzo, si mette le scarpe, perde un guanto e sale sul palco senza essere nemmeno truccata.

Albert non capisce la provincia è l’unico che in mezzo a quel caos si sente spaesato mentre tutti cantano il refrain della canzone di Zazà, ha il treno a mezzanotte e mezza ma un guanto perduto da Zazà si frappone tra lui e il suo destino. Nel riconsegnarglielo in camerino ha un’esplicita proposta da parte di Zazà, la rifiuta e si reca in stazione. Lo ritroviamo poco dopo ancora all’Alhmabra per la seconda canzone di Zazà che questa volta si sfila un guanto e lo appoggia sulla balaustra davanti ad Albert. Questa volta Albert cede alla provocazione di Zazà e lo ritroviamo la mattina del giorno dopo nel letto della cantante.

Mi sono soffermato sull’inizio del film perchè l’ho sempre trovato coinvolgente ed trascinante nella sua decadenza formale, Isa Miranda è perfetta ed affascinante, calata perfettamente nel ruolo per cui George Cukor l’aveva scelta. Dopo aver passato la notte con Zazà, Albert ritorna a Parigi. La moglie e la figlia sono partite per la villegiatura a Vichy, Albert nasconde a Zazà di essere sposato e la invita a Parigi. Insieme vivono per un mese in un alberghetto di Montparnasse come marito e moglie.

Sequenze che si succedono nella fase centrale del film: l’onnipresente illuminazione del volto di Isa Miranda, il matrimonio di due giovani celebrato nell’alberghetto, il ritorno della moglie dalla villeggiatura, il ritorno di Zazà a Saint-Etienne, la scrittura per Marsiglia prima rifiutata e poi accettata. La rivelazione che Albert è sposato gli viene fatta da Cascard artista anche lui dell’Alhambra da sempre innamorato di Zazà. Spinta dalla gelosia si reca a Parigi dalla moglie di Albert per chiederle un chiarimento, l’incontro con la figlia di Albert la commuove, desiste nel suo tentativo e torna a Sain-Etienne. Ma Albert è ancora innamorato di lei e deciso a lasciare sua moglie sebbene, in un divertente incontro con Bussy, quest’ultimo gli faccia notare come una cosa non escluda l’altra.

In un doloroso incontro finale, sarà Zazà a rinunciare ad Albert proprio per amore. Nell’ultima scena Zazà, tra le tendine della sua finestra, vede Albert allontanarsi. Il cast oltre ad Isa Miranda ed Antonio Centa vede un mirabile Aldo Silvani nella parte di Cascard, Ada Dondini mamma di Zazà e Nico Pepe bravissimo nello scanzonato Bussy. Renato Castellani è qui alla sua terza regia, la fotografia è di Massimo Terzano che aveva già curato i primi tre film di Castellani e dato luce al volto di Isa Miranda in Malombra di Mario Soldati.

Il volume monografico Isa Miranda a cura di Orio Caldiron e Matilde Hochkofler riporta un altro finale che vi trascrivo: “In un drammatico colloquio con l’amante, Zazà, fingendo di anteporre al loro amore le esigenze della carriera, gli comunica la sua decisione. Sconcertato per l’atteggiamento di Zazà, Dufresne la lascia convinto che si tratti di una fredda calcolatrice. Sono passati molti anni: in un piccolo varietà parigino Alberto incontra Zazà, che ha sposato Cascard e si esibisce in locali di quart’ordine. Solo ora Dufresne scopre il grande sacrificio che Zazà ha compiuto per lui: quando l’accompagna alla stazione pensa che l’amore così bruscamente troncato potrebbe forse rinascere. Ma Zazà dal finestrino del treno ormai in corsa gli fa cenno di no. Il dolore e il sacrificio di quegli anni non devono essere inutili.”

Il film caricato proviene da una vecchio nastro VHS per cui mi scuso sin d’ora della qualità e delle imperfezioni.