Innanzitutto non sappiamo di preciso quanti spettatori entrarono al Salon Indien quel sabato sera. Il numero di 33 sembra essere unanimemente riconosciuto, ma l’Histoire du cinema 1895-1929 di René Jeanne e Charles Ford riferisce di un incasso di 35 franchi che, ad un franco a biglietto, monsieur de Lapalisse insegna, fa 35 spettatori.
Di certo era presente George Méliès invitato da papà Antoine orgoglioso dell’invenzione dei suoi figli. Il Boulevard des Capucines si trova fra L’Olympia e Place de l’Opera e finisce dove inizia il Boulevard des Italiens. Al numero 8 di quest’ultimo si trova il teatro Robert-Houdin diretto da Georges Méliès. Dalla parte opposta Place de la Madeleine dove inizia il Boulevard Malesherbes. Al numero 9 abita Marcel Proust ed è lecito chiedersi quella sera dove fosse e magari fantasticare su di una sua eventuale presenza al salone indiano magari accanto a Georges Méliès.
Di apparecchi che riproducono immagini ve ne sono altri ma quello dei Lumière ha immagini nitide e stabili, è poco rumoroso ed ha il grande vantaggio di essere utilizzabile sia per riprendere immagini che per proiettarle. Georges Méliès davanti allo schermo immagina in un attimo la deviazione di un futuro. L’idea di cinema è una folgorazione improvvisa che scintilla da un passato che non esiste. Per i Lumière una curiosità scientifica senza avvenire che cercheranno di sfruttare commercialmente nella maniera più vantaggiosa possibile, non vendendo l’apparecchio ma soltanto affittandolo.
Méliès offrirà 10.000 franchi ai fratelli Lumiere per la cinepresa, il direttore del Museo Grévin, Gabriel Thomas ne offrirà 20.000 e Allemand direttore delle Folies Bergère arriverà a 50.000. Le tre offerte saranno rifiutate, Méliès acquisterà allora da Robert William Paul per 1000 franchi un esemplare del suo Animatograph con un certo numero di pellicole Edison che comincerà a proiettare nel suo teatro a partire dall’aprile del 1896. I fatti e le date aiutano a spiegare la storia, ma il sogno di Georges Méliès ha le sue parole:
Sono nato a Parigi nel 1861. La mia prima passione fu il teatro: i famosi fantocci meccanici di Robert-Houdin – l’Arlecchino, la testa di Belzebù il pipistrello rivelatore – mi trasportavano letteralmente fuor di me stesso. E siccome avevo un certo talento naturale per la meccanica tanto feci e tanto studiai finchè mi riuscì di riprodurre quelle meravigliose marionette [1936]. Ho quindi costruito automi, è vero, ma non li ho inventati. Mi esercitai per un po’ intorno alle macchine della fabbrica di mio padre, e poi non feci altro che imitare quei congegni dopo averli visti in azione da lontano, sulla scena del teatro Robert-Houdin [1929]. Passavo giorni e notti a correggerli, a perfezionarli, a inventare nuovi accorgimenti e stratagemmi inediti: mille diavolerie, insomma, per attirare l’attenzione degli spettatori e trasportarli fuori dalla realtà [1936]. (2_continua)