Sono passati poco più di 110 anni e già la storia comincia a far acqua da tutte le parti. Una sera di sabato 28 dicembre del 1895, a Parigi fa freddo, ma i boulevard sono ugualmente affollati. Natale è passato da poco, e ci aggira fra bancarelle di dolci, giocattoli e baracconi di tiro a segno. In realtà c’è chi dice che, sì quella sera faceva freddo e il vento era gelido, ma strade e marciapiedi erano deserti, la gente rincasava velocemente alzandosi il bavero e le varie baracche allestite per le feste erano già chiuse. L’unica cosa che sappiamo per certo è il luogo, uno scantinato pomposamente ribattezzato Salon Indien, che si trova presso il Grand Café al numero 14 del Boulevard des Capucines. Chi passa è attirato da uno striscione di tela bianca su cui campeggia la scritta Cinématographe Lumière.
La parola cinematografo non è nuova. Il 12 febbraio del 1892, il francese Léon Bouly deposita un brevetto per un suo apparecchio per la cattura delle immagini in movimento e lo chiama Cinématographe. Di fatto quasi nessuno sa cosa significhi la parola, ma ci troviamo lungo i Boulevard di Parigi, dove come scriveva Balzac c’è la vita. Il Salone Indiano è attrezzato con un centinaio di sedie e uno schermo bianco. I tre Lumière, papà Antoine ed i figli Louis e Auguste, che tramite un loro dipendente, il fotografo Clément Maurice, hanno organizzato la serata, sono degli industriali chimici che operano nel campo delle lastre fotografiche. Il lato romantico che vede scanzonati boulevardier passeggiare ed entrare per caso nel locale, cozza contro una realtà ben diversa.
I Lumière, che hanno già presentato la loro invenzione alla comunità scientifica il 22 marzo, hanno invitato direttori di teatri d’arte varia e d’illusionismo e qualche giornalista. L’operazione è chiaramente commerciale, sono degli industriali e dalla loro invenzione sperano di ricavarne un profitto economico. Anche monsieur Volpini, il proprietario del salone, pensa di guadagnarci qualcosa, ed affitta il locale ai Lumière per un anno a trenta franchi al giorno. Confiderà ai posteri di aver rifiutato la proposta del signor Clément Maurice di una percentuale sugli incassi. Qualche settimana più tardi la fila di persone in attesa davanti al Grand Café arriverà fino a Rue Caumartin. Duemila spettatori al giorno assisteranno alle proiezioni del cinematografo, il signor Volpini avrà gettato alle ortiche il più grande affare della sua vita e penserà seriamente di cambiare cognome. (1_continua)