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Cultura di yak

In Cinema, Letteratura, Libri, News on 17 aprile 2013 at 19:43

ideal du gazeuse

Nel pressappochismo dell’era moderna, che sarebbe più corretto chiamare post-moderna, non contano più gli autori ma i generi, per cui immagazzinare cultura diventa dogma primario di ogni operatore culturale che spazia da mollica a fazio con belluina baldanza.

In 8½ Mastroianni chiedeva a Claudia Cardinale, ma soprattutto a se stesso, di essere capace di scegliere una cosa sola nella vita e di restarle fedele per sempre, di farla diventare ragione del proprio tempo, che raccogliesse tutto e diventasse tutto perchè era proprio la sua fedeltà che la faceva diventare infinita. Cosa rimane cinquanta anni dopo nel desolato panorama antropologico-culturale italiano, i soldi, i bisio, i brizzi, i abbatantuoni, e i tognazzi figli (ma quanti cazzo ne sono).

Eppure io una buona idea l’avevo avuta, la storia di Jim Brethonshire, contorsionista famoso di fine ottocento di cui ripercorrevo l’infelice parabola del suo numero più famoso, quello in cui si chiudeva in una rozza valigia di cartone per poi buttare via la chiave.Ma, come una vite senza fine non giunge mai al termine, il mio arzigogolato pensiero cozzava con produttori e uomini di cultura azzimati (termine che mi ha sempre divertito come brunetta ministro o la russa moderato).

E poi se “Un dictionnaire sans exemples est un squelette” come recita le “Petit Larousse Illustré” del 1911, acerrimo nemico del Melzi di cui mi riprometto di affrontare la trattazione con ampio materiale prossimamente, l’Istituto Luce la cultura nazionalistica di questo paese che noi tutti a bocca aperta ammiriamo, pubblica il dvd del film “Il Cardinale Lambertini” opera del 1954 per la regia di Giorgio Pastina con un gigioneggiante Gino Cervi.

Fra gli altri interpreti sulla copertina campeggia un Sergio Totano sfuggito a tutti i controlli che nello specifico si dovrebbero fare prima di stampare un qualche cosa che abbia a che fare con le parole. Orbene, se la cultura fosse una cosa seria, magari per legge sarebbe obbligatorio il ritiro del prodotto per correggere il nome e ridare a Sergio Tofano la gloria che gli spetta, non solo come fine attore di teatro e cinema, ma anche come autore e disegnatore dell’immortale maschera del Signor Bonaventura, ingenuo eroe di una misera italietta per tanti versi simile a quella di oggi. D’altronde si ritirano dalla vendita tortellini con carne di yak, oppure si avvisano gli automobilisti di fare attenzione sui 48 tornanti dello Stelvio perchè il loro giunto ammortizzante appartiene ad una partita difettosa, assemblata da un tornitore indiano che affitta barche sul Gange, non vedo perchè stessi criteri non si possono applicare alla cultura. Ah già, l’argent.

Immaginario da ricostruire

In Uncategorized on 14 gennaio 2012 at 18:28

È sempre difficile quantificare la vita reale di un fumetto. Quanto pagava d’Ici Wash Tubbs? Sor Pampurio i venerdì di quaresima, mangiava di magro? Certezze non ne abbiamo, possiamo, come nel cinema, immaginare cosa accade al di fuori dell’inquadratura. La triste fine di James Bond è emblematica. Malato di sifilide, si spegne in solitudine in un sanatorio del Sussex sul finire degli anni ottanta. D’altronde lo avete mai visto indossare un preservativo?

Molto più misteriosa è stata la vita del signor Bonaventura. Nato sulle pagine del Corriere dei Piccoli il 28 ottobre del 1917 riceveva, alla fine di ogni storia, come ricompensa per i suoi inconsapevoli servigi, un milione. La questione non banale è quella di capire come costui spendesse questo denaro. Tranne rare occasioni in cui Sergio Tofano inizia la storia con: Il Signor Bonaventura ricco ormai da far paura, il nostro eroe dilapida puntualmente il milione che guadagna. Come lo dilapida non ci è dato modo di saperlo, possiamo immaginarlo in spese folli (nella storia del 6 ottobre 1929 compra un’aragosta che non poco inver gli costa) spese che lo costringono spesso ai lavori più disparati, dal venditore di frittelle a quello di lozioni per la crescita dei capelli in 5 minuti. Ma spesso passeggia, ozia beatamente, insomma non fa un bel niente, come se vivesse di rendita. D’altronde della moglie Reginotta sappiamo poco, ma dato che si aggira per casa con una corona, e in Italia c’è ancora la monarchia, qualche soldo da parte deve pur averlo.

Il suo contraltare dimenticato, lacero e cencioso è Serafino di Egidio Gherlizza che povero lo è davvero, in un’imprecisata periferia americana dove vive in baracche fatiscenti o dorme sulle panchine. E’ l’ultima frontiera del fumetto prolepopolare italiano, in cui fame e miseria sono visibili in storie semplici e genuinamente, mi scuso per il termine, poetiche. Ma se in Serafino vita privata e fumetto si fondono alla perfezione e non può esistere una realtà parallela, ricordiamoci tutti la vita privata (tenuta nascosta per anni) di Little Orphan Annie di Harold Gray, costretta per anni a prostituirsi in lupanari di terz’ordine con il nome d’arte di Little Oral Annie. Gli anni ottanta spazzeranno via tutto questo marciume, quando un Johnny Storm malato, farà causa ai Fantastici Quattro per averlo fatto dormire per anni in un letto con coperte di asbesto.