Tra degustazione culturale e valori eteronomi non ho mai saputo cosa scegliere. Ah, forse qualcosa di Franti e di quell’infame sorriso, come scriveva il principe dei delatori, quel tal Enrico Bottini che verga di suo pugno un diario molto letto in gioventù. Ma proprio in gioventù di errori ne commisi molti.A tredici anni mi innamorai dei trasferelli, anche se non ricordo di averne mai comprato un foglio.
Poi crescendo mi incaponii assai su di un tipo di narrazione letterario-filmica, in cui trasfiguravo luoghi e nomi, per cui spesso sognavo di ritrovarmi il 7 novembre 1940 sul ponte di Tacoma verso le 10 del mattino collassare assieme al ponte. Anni dopo, il 27 novembre 1982, mentre mi recavo alla fermata dell’autobus per andare a scuola, io ed il mio amico Valter ci accorgemmo di un treno deragliato in bilico sopra le nostre teste. Ricordo che non venne transennato nulla, ma in quell’epoca ricordo solo la Tirreno-Adriatico transennata. Il terribile deragliamento mi turbò assai, tanto che quella mattina interrogato in lettere feci confusione con i nomi ed affermai che il libro più importante di Oblómov era stato Gončarov.
Ora se l’arte è un’attività e l’intuizione bergsoniana è strumento metafisico, ricordo i professori molto stupidi e li disprezzavo. Il loro acume intellettuale si manifestava solo in occasione della busta paga e male facevo nelle mie relazioni ad accentuare forme narrative complesse. Venni spesso tacciato di massimalismo masturbatorio, soprattutto quando dopo la lettura dei Fratelli Karamazov scrissi che il fosco dramma rappresentava per potenza narrativa e vicenda passionale, quanto di più alto l’ingegno e l’animo letterario umano avessero mai concepito, la vita e la morte dell’uomo nel loro aspetto più tragico e violento, sentendomi rispondere: Eh, ragazzo mio è solo un romanzo.
Io, che cresciuto ero nella solitudine di quegli anni, che vedevo le mie radici propagarsi in mille rivoli di contesti culturali immorali, mi chiusi in me stesso ed adattai alla violenta vita di allora il mio io. Il mese dopo descrissi la vita di Harry De Weed, i suoi sogni e le sue aspirazioni di quel 23 agosto 1904 quando inventò le catene antineve per le automobili. Il corrotto professore di lettere plaudì alla mia relazione considerandola opera degna di una raggiunta maturità. Fantasticare su Teodoro Dostoevskij aggiunse, è francamente da idioti.
Negli anni che seguirono non incrocia più il principe Myškin, rimossi la sua storia per non passare guai, e l’unico Myškin che contemplai fu Anatolij, talentuosa ala grande dell’Armata Rossa giocare affianco a Vladimir Tkachenko nella grande Russia del colonnello Gomelsky.