17 giugno 1979, senza ascoltare gli appelli di tutto il mondo, la Malaysia ricaccia in mare i profughi. Strano, da noi un ex-ministro ora presidente di regione, della politica sul respingimento degli immigrati credo si vanti ancora.
Ebbi paura anch’io, non tanto per la Malaysia (che non sapevo dove fosse) ma per quelle dannate 77 tonnellate di acciaio che stavano per cadere sulle nostre teste. Ricordo che quell’11 luglio mi recai al mare con l’elmetto di mio nonno, Cavaliere di Vittorio Veneto, che trafugai nottetempo dalla sua camera da letto dove lo utilizzava come recipiente per la dentiera. In realtà lo Skylab si disintegrò in una pioggia di frammenti incandescenti nell’Oceano Indiano, al largo delle coste dell’Australia, ma io per precauzione lo portai tutta la mattinata, non fidandomi dei calcoli di fuso orario con l’Australia.
Rischiai persino di venir escluso dalla giornaliera sanguinosa partita di pallone che, intorno alle undici, ci vedeva impegnati tra il mefitico torrente Albula ed il Bacio dell’Onda. Consultai febbrilmente il regolamento, di elmetti neanche una parola, soltanto un accenno all’utilizzo di servomeccanismi elettromeccanici durante i rigori e le punizioni.
Il goal di testa che ne seguì scatenò feroci polemiche, dato che incornai il pallone nella mia metà campo con una forza tale che, la calibratissima sfera con cui giocavamo finì direttamente nella zona più melmosa dell’Albula. Venni incaricato del recupero, mi venne sequestrato l’elmetto, e mio nonno si convinse finalmente ad usare un normalissimo bicchiere di vetro per il riposo notturno della sua dentiera.