Combray

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Un quindici maggio

In Libri on 24 giugno 2012 at 18:45

E’ il quindici maggio del 1973. La scuola sta per finire, il senso di indicibile felicità di avere otto anni, permea la mia vita semplice ed inconsapevole. Qualche fumetto, la tivù dei ragazzi e il mare. La storia è presto detta, duecento lire risparmiate per recarmi in edicola, unico eldorado concesso in anni da altri epitetati di piombo, per me invece malleabili come la mia anima di stagno.

La copertina che cerco si staglia a colori in un mondo che ricordo in bianco e nero. Gli altri universi supereroistici mi sembravano vuoti, non mi ero mai appassionato all’asessualità cattolica di un Clark Kent dominato da una virago lesbica come Lois Lane, né a quel sottile legame omosessuale che legava Bruce Wayne al suo giovane pupillo Dick Grayson. Ma nel fumetto contano gli autori, per cui qualsiasi personaggio seriale è un sacco vuoto, riempito di volta in volta di una linfa diversa, e quindi l’Uncle Scrooge di Carl Barks o le storie di Topolino di Romano Scarpa, rappresentano per il fumetto ciò che Dostoevskij o Balzac rappresentano per il grande romanzo dell’ottocento.

Il numero 55 dei Fantastici Quattro mi attendeva con un titolo carico di aspettative, ed una copertina che devastò le mie poche certezze di allora: “L’amara feccia della sconfitta”. Un Jack Kirby che oso definire Michelangiolesco, affresca una copertina in cui c’è tutto il male di un mondo che, arrivato ad un bivio, non ha più bisogno di eroi. Il Dottor Destino si erge ad infame creatore delle umane nequizie,  puntando il dito su di uomini sbandati. Johnny Storm è piegato su un lato e si copre la testa con una mano, Reed Richards stringe a se la sua compagna in un inutile atto consolatorio. Drammatica è l’immagine di Ben Grimm vuoto di energie, a testa bassa e con i pugni chiusi. Sul lato sinistro in basso, un affranto e meditativo Wyatt Wingfoot. Tutt’attorno macerie e devastazione in un day after senza speranze. 

Tornai a casa con il cuore in gola, aprii convulsamente il melzi che, definiva feccia, in linguaggio figurato, la peggior gente della società e fecciume quantità di feccie, gentaglia. Cominciai a leggere, dimenticando perfino che era martedì ed alle 17,45, sul primo canale alla tivù dei ragazzi, davano Gli Eroi di Cartone. Il Dottor Destino che, ricordiamo ai più sprovveduti servirà da modello per il Darth Vader di Star Wars, dopo aver annichilito Silver Surfer ed essersi impadronito della sua tavola, vola da Latveria verso New York e qui, sfruttando il potere cosmico dell’Araldo di Galactus, l’incredibile criminale sferra l’attacco definitivo al Baxter Building.

Nemmeno il rischioso uso del disconnettitore gravitazionale servirà a fermarlo, Doctor Doom riapparirà dai rottami gravitazionali intonso e con la consapevolezza di essere invincibile. Ma, invece di distruggere definitivamente i Fantastici Quattro li abbandonerà alla loro impotenza, considerandoli così poco importanti da non desiderare nemmeno la loro distruzione. Esanime mi accasciai sul divano, fortemente preoccupato per le sorti dei miei beniamini di cui avrei riavuto notizie soltanto quattordici giorni dopo, con il numero 56 intitolato “Il giorno del giudizio”.

Fu un maggio come altri di quegli anni, il 6 nella città tedesca di Costanza, Kurth Kohls inaugurò il suo sesto “Eros Center” con cui in Germania aveva organizzato su base industriale la più vecchia professione del mondo, il 12 Lex Barker morì improvvisamente in una strada centrale di Manhattan, il 24 la camera concesse l’autorizzazione a procedere  contro l’on. Almirante per “ricostituzione del disciolto partito fascista”. Mi addormentai quella sera madido di incertezze sul futuro del globo terraqueo e dell’italico stivale. Ebbi un sonno agitato ma mi risvegliai sereno, accatastai la pila di fumetti sul comodino feci colazione, preparai la cartella, uscii e mi recai a scuola. Sulla strada notai la vita scorrere imperscrutabile come sempre, con l’inflazione all’11%  e le idee molto confuse su cosa fosse un eros center.

Immaginario da ricostruire

In Uncategorized on 14 gennaio 2012 at 18:28

È sempre difficile quantificare la vita reale di un fumetto. Quanto pagava d’Ici Wash Tubbs? Sor Pampurio i venerdì di quaresima, mangiava di magro? Certezze non ne abbiamo, possiamo, come nel cinema, immaginare cosa accade al di fuori dell’inquadratura. La triste fine di James Bond è emblematica. Malato di sifilide, si spegne in solitudine in un sanatorio del Sussex sul finire degli anni ottanta. D’altronde lo avete mai visto indossare un preservativo?

Molto più misteriosa è stata la vita del signor Bonaventura. Nato sulle pagine del Corriere dei Piccoli il 28 ottobre del 1917 riceveva, alla fine di ogni storia, come ricompensa per i suoi inconsapevoli servigi, un milione. La questione non banale è quella di capire come costui spendesse questo denaro. Tranne rare occasioni in cui Sergio Tofano inizia la storia con: Il Signor Bonaventura ricco ormai da far paura, il nostro eroe dilapida puntualmente il milione che guadagna. Come lo dilapida non ci è dato modo di saperlo, possiamo immaginarlo in spese folli (nella storia del 6 ottobre 1929 compra un’aragosta che non poco inver gli costa) spese che lo costringono spesso ai lavori più disparati, dal venditore di frittelle a quello di lozioni per la crescita dei capelli in 5 minuti. Ma spesso passeggia, ozia beatamente, insomma non fa un bel niente, come se vivesse di rendita. D’altronde della moglie Reginotta sappiamo poco, ma dato che si aggira per casa con una corona, e in Italia c’è ancora la monarchia, qualche soldo da parte deve pur averlo.

Il suo contraltare dimenticato, lacero e cencioso è Serafino di Egidio Gherlizza che povero lo è davvero, in un’imprecisata periferia americana dove vive in baracche fatiscenti o dorme sulle panchine. E’ l’ultima frontiera del fumetto prolepopolare italiano, in cui fame e miseria sono visibili in storie semplici e genuinamente, mi scuso per il termine, poetiche. Ma se in Serafino vita privata e fumetto si fondono alla perfezione e non può esistere una realtà parallela, ricordiamoci tutti la vita privata (tenuta nascosta per anni) di Little Orphan Annie di Harold Gray, costretta per anni a prostituirsi in lupanari di terz’ordine con il nome d’arte di Little Oral Annie. Gli anni ottanta spazzeranno via tutto questo marciume, quando un Johnny Storm malato, farà causa ai Fantastici Quattro per averlo fatto dormire per anni in un letto con coperte di asbesto.