Combray

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Similbouquinistes

In Uncategorized on 17 giugno 2012 at 16:23

Setacciavo edicole soprattutto d’estate, alla ricerca di giornaletti. In bicicletta mi spingevo oltre le colonne d’ercole del lungomare, per scrutare gli orizzonti della mia crescita. Tornavo spesso a mani vuote, con le espadrillas scalcagnate, domandandomi perchè non si dicesse scaltallonate. Per diversi pomeriggi verso le tre, mi recai in pellegrinaggio in un edicola che esponeva il numero uno di Thor, nel cassone metallico similbouquinistes che apriva solo d’estate.

Soltanto era in tedesco e il dubbio amletico che mi attanagliò per diverse settimane, fu quello se affrontare la spesa e farmelo tradurre da Otto Bachmüeller, un ex sergente delle SS che, in incognito, abitava dietro casa mia. Quando racimolai i cinque talleri di Maria Teresa per l’acquisto, l’edicolante mi disse che lo aveva venduto ad un moccioso alemanno cinque minuti prima. Un velo di tristezza calò improvvisamente sulla mia vita di adolescente. Mille domande sull’uomo, tempestarono il mio già fragile inconscio, affranto inforcai il mio velocipede stanco. L’edicolante mi gridò dietro vacue parole, tentandomi con nomi di sogno, Zora, Lucifera, Helga, Hessa, Vartan, Sulka, ma come un novello Ulisse fuggii tappandomi le orecchie.

Mio padre quando mi vide arrivare mi chiese (non lo faceva mai) cosa avessi fatto. Un discreto sorriso fu la mia risposta, mi tolsi le espadrillas con un agile movimento del malleolo, e sedetti affianco a lui sotto la tenda. Guardava il mare da una vita, fumando in silenzio, toccandosi il volto rasato di fresco e macinando tutti i suoi ricordi pedatori che odiava. Cresciuto nel grigiore di quegli anni, ricordo solo le estati, la canicola dei pomeriggi e la sensazione dei piedi sulla sabbia che si provava quando, finita la scuola, si andava al mare.

La sera stessa Otto mi chiese lumi sul giornaletto incriminato. Gli raccontai i fatti, imprecando sulla perfida albione che comunque non c’entrava niente. Per consolarmi mi offrì del sidro di cactus, che rispolverava soltanto nei momenti più cupi, una ricetta che, sembra, Hermann Göring amasse più della morfina.